Filarmonica Mousiké
wind and percussion orchestra

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Nati negli Iuessei

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Nati negli Iuessei - tre decenni di musica per orchestra di fiati

Ho visto le menti migliori della mia generazione […]
che passavano per le università con occhi freddi radiosi […]
che venivano espulse dalle accademie come pazzi […]
che cantavano disperate dalle finestre […]
che si alzavano reincarnate all’ombra dorata degli strumenti della band
e soffiavano per amore la sofferenza dell’America in un urlo di saxofono


(Allen Ginsberg, Urlo, 1956)

I Brani

  • Frank Ticheli (1958) – Vesuvius [1999]

  • Alfred Reed (1921-2005) – Terza Sinfonia [1988]

    • Pesante e molto sostenuto - Allegro agitato

    • Variations on the “Porazzi” Theme of Wagner

    • Allegro deciso

  • Dana Wilson (1946) – Piece of mind [1987]

    • Thinking

    • Remembering

    • Feeling

    • Being

  • Robert W. Smith (1958) – Sinfonia n. 3 “Don Quixote” [2008]

    • The quest

    • Dulcinea

    • Sancho and the windmills

    • The illumination

Prendendo le mosse dalle forme codificate per la musica sinfonica (ouverture da concerto, suite sinfonica di danze, sinfonia, poema sinfonico, concerto solistico, variazioni per orchestra), dalla seconda metà dello scorso secolo è fiorito un gran numero di composizioni originali per orchestra di fiati e percussioni con partiture che coprono un ampio raggio di durate e complessità: dai brani di studio fino a quelli da concorso e concerto pubblico.

L’ambiente che più ha favorito tale sviluppo, influendo anche in modo significativo sulle caratteristiche generali delle musiche, è stato quello delle high school e università statunitensi. Alla base, una solida preparazione accademica, associata a una “specialistica” conoscenza delle possibilità degli strumenti a fiato e delle percussioni, cosa non così semplice né pacifica in un’epoca che ha visto una grande evoluzione nella formazione degli strumentisti e nelle tecniche esecutive, per non parlare degli strumenti stessi. Insieme, la capacità di definire, da parte di ciascun autore, una propria “cifra” personale ben identificabile, con un dosato mix tra tradizione e tecniche compositive e strumentali innovative, con attenzione alla “confezione” finale, di cui fanno parte non solo elementi musicali (colti o popolari, etnici o internazionali), ma anche extramusicali con la stessa “voracità” hollywoodiana per tutto quello che può offrire “storie” da raccontare al pubblico. Una “cifra” personale fondamentale anche in vista delle commissioni da parte delle orchestre (militari o educational).

Insomma, un mondo vivo, anche se in certa misura autoreferenziale: perché con una naturale tendenza ad “autoalimentarsi”, sia attraverso il ciclo della formazione (lo studente “bravo” diventa compositore e direttore), che delle commissioni (incaricanti e incaricati “sanno” che cosa si attende la controparte …), che della delimitazione dei generi e delle competenze (una concert band può suonare ritmi jazz ma non deve “suonare come” una jazz band …).

Infine, si può ricordare quello che fece notare Aaron Copland: il lavoro dell’artista americano spesso consiste semplicemente nel rendere l’arte possibile, vale a dire garantirne la visibilità; un lavoro che ogni generazione deve ricominciare ogni volta da capo.

Frank Ticheli

Scrive Franck Ticheli: «il Vesuvio, vulcano che distrusse Pompei nel 79 dC, è un’immagine di potenza ed energia. Inizialmente avevo pensato a una danza selvaggia e appassionata, come quelle di un baccanale dell’antica Roma. Procedendo nella composizione, ho cominciato a immaginare qualcosa di più esplosivo ed infiammato. Con i suoi ritmi coinvolgenti, i modi esotici e la citazione del Dies iræ, il Baccanale che stavo scrivendo poteva rappresentare una danza per gli ultimi giorni della condannata città di Pompei». Gli aggettivi con i quali la stampa americana ha definito la musiche di Ticheli (“ottimistiche e meditate; agili e muscolari; brillantemente efficaci”) ben descrivono anche Vesuvius, breve poema sinfonico nei cui 5 episodi concatenati (introduzione; danza in ritmo irregolare che conduce attraverso il tema del Dies iræ alla “cantilena” lenta; sovrapposizione in tempo rapido degli elementi precedenti; coda con ripresa della danza) il gusto “spettacolare” pone in netto subordine eventuali intenzioni “drammatiche”.

Alfred Reed

Nelle sue 4 sinfonie (l’ultima è del 1994), Alfred Reed sceglie sempre un’articolazione in tre movimenti, tipica degli esempi del primo classicismo. Non si tratta di un richiamo stilistico quanto piuttosto del convergere di due distinte esigenze: movimenti brevi e caratteristici (come quelli derivati da minuetti e scherzi) possono provocare non desiderabili evasioni dal tono “alto” che si presuppone in una sinfonia (mentre sicuramente trovano collocazione adeguata nel genere, di grande successo per Reed, delle suite). Il contenimento della durata della composizione è poi un’utile accortezza circa la … resistenza fisica di esecutori e ascoltatori.

La Terza Sinfonia, commissionata dalla banda dell’aviazione USA, si apre con un’introduzione lenta e pensosa (pesante e molto sostenuto) che conduce, dopo un esteso solo di oboe, all’allegro agitato il cui carattere drammatico viene solo parzialmente contrastato da un episodio di imitazioni tra alcuni legni soli e da un momento più disteso di oboe e corno inglese prima di una stringata e altrettanto decisa coda.

Il movimento centrale è basato su un enigmatico tema di 13 battute che Richard Wagner iniziò all’epoca del Tristano (1858) ma completò solo nel marzo 1882 quando, terminata la composizione del Parsifal, era ospite a Palermo del palazzo Gangi in piazza dei Porazzi (da cui il nome). Secondo la testimonianza di Cosima Liszt sarebbe stata anche l’ultima musica che Wagner suonò al pianoforte la notte prima della morte (a Venezia nel 1883). Dopo l’esposizione del tema (oboe), diviene protagonista il clarinetto. La tavolozza orchestrale si basa prima sui legni per coinvolgere da protagonisti gli ottoni nella seconda “variazione”, con un progressivo ispessimento della strumentazione, fino alla ripresa del tema e a una chiusa in tonalità maggiore che “rischiara” come in dissolvenza il registro cromaticamente elegiaco del brano.

Dopo l’omaggio a Wagner, il finale, col suo “deciso” spirito di marcia, sembra invece un omaggio a Paul Hindemith (la cui Sinfonia in si bemolle del 1951 è uno dei primi brani “moderni” per banda). Del tutto personale è però la conclusione, con l’inserimento di un solo di oboe e legni prima della “gloriosa” chiusa.

Dana WilsonCome scrive Dana Wilson, «Piece of mind è un gioco di parole su un vecchio modo dire, ma anche una rappresentazione di come opera la mente umana [“Give a piece of mind” significa dire candidamente a qualcuno che cosa si pensa di lui; ma "piece" è anche un “pezzo” di musica, quindi un brano di musica “sulla mente”. Inoltre, la pronuncia di "piece" è la stessa di "peace" (pace). Il primo movimento, "Thinking" (pensare), inizia con una semplicissima idea di quattro note che cresce apparentemente in base alla propria inerzia – come capita spesso pensando a qualcosa – mescolandosi o facendosi travolgere da altre idee correlate. "Remembering" (ricordare), il secondo movimento, è strutturato in modo simile a come la memoria funziona per la maggior parte di noi – non un pensiero completo e logico, ma improvvisi flash di immagini o dialogo; in questo caso i flash illuminano l’idea di quattro note attraverso vari stili musicali vividamente radicati nella memoria del compositore e, si spera, di molti ascoltatori. Il terzo movimento, "Feeling" (emozionarsi), esplora vari stadi dello spettro emozionale, la cui interpretazione è meglio lasciare all’ascoltatore. Il movimento conclusivo, "Being" (essere), fa riferimento a uno stato mentale raramente considerato nella nostra cultura: stili musicali non occidentali – in particolare indiani – sono utilizzati per dar forma all’idea musicale di quattro note in modo da ricreare e celebrare quel meraviglioso attributo (piece, peace …) della mente».

La presentazione concettosa potrebbe far pensare a un brano di … difficile digestione; in realtà gli aspetti “sperimentali” sono ben inquadrabili nel genere delle libere variazioni o “metamorfosi” sinfoniche e l’autore mantiene una chiara direzionalità dei materiali musicali. Il primo tempo procede per accumulazione; il secondo utilizza l’idea principale come “fascia sonora” sopra la quale passano le “intrusioni” degli altri stili musicali; più complesso il terzo movimento, che muove da un accompagnamento e da soli che si intrecciano (a partire dal corno) in modi “neobarocchi” per raggiungere una climax a cui segue un ampio solo di sax soprano fino a concludersi in dissolvenza con le tastiere. L’ultimo tempo sembra contraddire l’iniziale clima new age (solo di corno inglese) con un episodio giocoso dei legni e l’irrinunciabile momento virtuosistico che però si conclude improvvisamente e in modo “sospeso”.

Robert W. SmithCome nella lisztiana “Sinfonia Dante”, le tre sinfonie per fiati e percussioni di Robert W. Smith uniscono il genere della sinfonia a quello della “musica a programma”, facendo riferimento ad altrettanti capolavori della letteratura universale: nell’ordine, la Divina commedia (appunto …), l’Odissea e il Don Chisciotte.

È abbastanza curioso che Smith adotti sempre il “taglio” in quattro movimenti, anche nel caso dantesco, che sarebbe invece di sua natura trino (il “problema” viene risolto introducendo un’Ascensione tra Purgatorio e Paradiso).

Il romanzo di Cervantes propone un compito quasi impossibile: quello di dare una veste musicale all’insieme contraddittorio di ironia, affetto e “grandiosità” ispanica che l’autore ha riservato alla sua creatura. Tuttavia, a differenza di Omero e Dante, ha il vantaggio di suggerire un preciso “colore musicale” (quanta musica “spagnola” è stata scritta da autori che … non ne parlavano la lingua!). E così il primo movimento della Sinfonia n. 3 illustra la “ricerca” ("quest" è la “parola chiave” all’inizio di tutte le storie d’avventura) con un sapore spiccatamente spagnolo: mescolando tecniche classiche e contemporanee, il compositore ci offre un racconto sonoro dell’ostinato e sognatore gentiluomo della Mancia che prende lancia e spada in difesa, così pensa, dei deboli contro i prepotenti.

Il tempo lento è dedicato alla descrizione della “dama” Dulcinea del Toboso (la contadinotta Aldonza Lorenzo), personaggio al centro dell’immaginario dell’hidalgo ma che non compare mai nel romanzo: quindi, come meglio rappresentarla, se non con un tema musicale magari più vicino ai giardini di Aranjuez che alla brulla Mancia?

Sancio e i mulini a vento è invece lo “scherzo”, contrapponendo la figura tondeggiante (e potrebbe essere altrimenti per uno che si chiama Panza?) del fedele scudiero, impersonato dal fagotto, alle smisurate e roteanti braccia dei giganti (che sono mulini a vento “solo per chi non si intende di avventura”).

Alla fine della storia, Don Chisciotte, sconfitto in duello dal Cavaliere della bianca luna (il “baccelliere” Sansone Carrasco), “rivede la luce” e rinsavisce: però le storie d’avventura (quelle che non prevedono come conclusione il matrimonio dei protagonisti!) non finiscono mai veramente perché i loro personaggi sfuggono all’autore, restando aperti alla fantasia dei lettori di ogni epoca.

Disponibilità del progetto: da aprile 2012.


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